Il virologo Perno: "I cambiamenti climatici possono portare da noi patologie sconosciute. Non facciamoci sorprendere"

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“Non farsi sorprendere”, come accaduto con il Covid e avere la consapevolezza “la Terra è cambiata, è cambiata la presenza dell’uomo, e dobbiamo pertanto imparare a convivere con l’idea di qualcosa di nuovo che possa raggiungerci”. Cosa ci si aspetta dal 2025? C’è una nuova pandemia in agguato? Le 17 epidemie registrate nel 2024 forse sono un campanello d’allarme. Alle domande del FattoQuotidiano.it risponde Carlo Federico Perno responsabile Microbiologia e diagnostica di immunologia, dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma che ricorda che “sulla Terra sono stati censiti circa 100mila virus. Quale di essi possa adattarsi all’uomo e causare infezioni e pandemie, è ancora da studiare e da dimostrare”. Certo è che “nessuno può dirlo con certezza, ma è evidente che i cambiamenti climatici, certamente in atto (negarli è follia), possono portare da noi patologie precedentemente sconosciute”.

Professore, da giorni siamo bombardati da informazioni su una presunta nuova malattia segnalata nella Repubblica democratica del Congo. Lei che cosa ne pensa?
I dati sono ancora scarni e difficili da interpretare in modo corretto, mancano informazioni precise sui campioni biologici raccolti, e sulla diffusione della malattia, senza contare che anche le informazioni cliniche sono incomplete; la variabilità del tasso di mortalità ne è un esempio, prima riportato come estremamente alto, poi più basso, intorno all’8%, senza però che ci sia un’informazione precisa su quante persone siano state colpite (il tasso di mortalità è evidentemente funzione anche del numero di persone infettate; più è alto il numero di persone colpite, a parità di morti, più bassa è la mortalità). Detto questo, i dati più recenti, supportati anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sembrano indirizzarsi non tanto verso un nuovo agente patogeno, quanto verso una forma particolarmente aggressiva di malaria, con compromissione anche respiratoria, senza escludere la co-presenza di altri germi, evento decisamente comune a quelle latitudini, che possano avere, purtroppo, un effetto sinergico nel peggiorare la prognosi delle persone infettate. Al momento sembrerebbe escluso un nuovo e sconosciuto agente patogeno, ma ulteriori accertamenti sono necessari per giungere a conclusioni certe.

Alcuni scienziati ritengono che mentre ci facciamo distrarre da questi casi – alcune decine in un’area remota – e da altre malattie l’influenza aviaria ha prodotto già due casi pediatrici in Nord America: un bimbo in California e un adolescente in Canada. Lei è d’accordo? Stiamo sottovalutando il vero pericolo?
L’influenza aviaria è dietro l’angolo, da sempre, in quanto, non va dimenticato il virus influenzale “umano” che ci colpisce ogni anno è “figlio” del virus influenzale degli uccelli che, in quanto tale, di norma infetta pochissimo l’uomo; ha infatti bisogno di “umanizzarsi” attraverso una serie di variazioni genetiche, che spesso avvengono in altri e ulteriori animali, come i maiali, prima di giungere all’uomo, infettarlo e causare l’epidemia stagionale di influenza. Detto questo, il virus dell’influenza aviaria può, in condizioni estreme, infettare l’uomo, e, in tal caso, può dare una prognosi molto severa, con tassi di mortalità molto alti, anche se difficilmente, anche in questi casi estremi, si trasmette da uomo a uomo, diventando quindi epidemico. Si parla di mutazioni del virus dell’influenza aviaria e che del fatto che si stia avvicinando alla forma in grado di infettare direttamente e massivamente l’uomo. Sono ipotesi interessanti, ancora però lontane da essere dimostrate nella pratica. Inoltre non è detto che, dovesse realmente accadere che il virus dell’aviaria infetti ampiamente gli uomini, tale virus con le nuove mutazioni, mantenga un tasso elevato di mortalità. Insomma, anche su questo argomento, serve una vigile attesa, una adeguata preparazione a problemi che potrebbero accadere (non possiamo e non dobbiamo farci sorprendere, come avvenne con il COVID), e una sorveglianza attiva, monitorando attentamente i focolai, caratterizzando il virus, e valutando giorno per giorno la modifica del rischio di infezione dell’uomo. Al momento, niente allarmi, niente preoccupazione. Non ce ne è alcuna ragione. Attenzione sì e tanta.

In base alla sua esperienza e ai dati che abbiamo qual è l’agente patogeno che potrebbe diventare un rischio per la sanità globale?
La zona equatoriale africana e americana ospita la maggior biodiversità della Terra, ed è possibile che, con la penetrazione dell’uomo in queste aree, e l’interscambio con gli animali che lì vivono, ci possa essere il cosiddetto “spillover”, ossia il passaggio di nuovi germi (di solito virus) da animali all’uomo. Ricordiamo che sulla Terra sono stati censiti circa 100.000 diversi virus. Quale di essi possa adattarsi all’uomo e causare infezioni e pandemie, è ancora da studiare e da dimostrare. Per il momento sappiamo che qualcosa potrà accadere, come è accaduto per l’HIV dalla scimmia, Zika attraverso la zanzara, COVID attraverso passaggi animali ancora sconosciuti, ecc. Anche in questo caso, massima allerta, sorveglianza, condivisione di dati, precauzioni.

Sta cambiando qualcosa nella proliferazione di nuove malattie – il cambiamento climatico, per esempio – o semplicemente il Covid ha creato un’allerta permanente?
Nessuno può dirlo con certezza, ma è evidente che i cambiamenti climatici, certamente in atto (negarli è follia), possono portare da noi patologie precedentemente sconosciute. I vettori dei patogeni, soprattutto la zanzara, ma anche le zecche, i topi, i pipistrelli, ecc, possono raggiungere le nostre latitudini, adattandosi al clima mite che ultimamente ci accompagna, e portarci germi finora sconosciuti. Pertanto l’allerta, in questo momento, deve essere permanente, continuando e implementando la sorveglianza attiva.

Dopo il Covid saremmo pronti a una nuova pandemia?
Spero vivamente di sì. Errare humanum est, perseverare diabolicum. Aggiungerei solamente l’auspicio di prendere atto che la Terra è cambiata, è cambiata la presenza dell’uomo, e dobbiamo pertanto imparare a convivere con l’idea di qualcosa di nuovo che possa raggiungerci. Se accadesse non sarebbe “sfiga”, ma semplicemente il risultato di un lungo processo di modifiche che avvengono sulla Terra. Prenderne atto ci aiuterebbe a combattere i rischi di malattie in modo più efficace, ricordando che la prevenzione è sempre meglio della cura.

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