Un nuovo coronavirus, l'influenza aviaria: i rischi di un'altra pandemia e l'identikit dei "sorvegliati speciali". "I patogeni potenziali? Sono 26"
Oggi alle 01:58 AM
Un nuovo coronavirus, la mutazione dell’H5N1 che provoca l’influenza aviaria o uno dei 100mila diversi agenti patogeni già censiti sulla Terra. Quando si parla di scienza non si possono fare scommesse ma il 2024 è stato un anno di allerte e allarmi: l’Mpox (già vaiolo delle scimmie) dichiarato emergenza sanitaria dall’Oms, poi ci sono stati gli arbovirus (Dengue, Zika, West Nile et cetera), infine la “misteriosa” (l’OMS non ha ancora sciolto le riserve) malattia del Congo che ha colpito una specifica area della Repubblica democratica del Congo con decessi soprattutto tra i bambini malnutriti e anche sospetti casi italiani. Con ancora le “cicatrici” del Covid sulla società, si pensi che si stimano almeno 65 milioni di persone affette da Long Covid nel mondo – la domanda in prospettiva sul futuro è lecita. Cosa ci si aspetta dal 2025? C’è una nuova pandemia in agguato? Le 17 epidemie registrate nel 2024 forse sono un campanello da allarme.
L’aviaria –“Il virus dell’aviaria, o meglio i virus dell’aviaria, sono una realtà prodromica che incombe da anni – dice il professor Giovanni Di Perri, direttore del reparto di Malattie infettive dell'ospedale Amedeo di Savoia di Torino -. Il fattore che fin qui ha salvato l’umanità da una catastrofe è rappresentato dal fatto che se è vero che dal pollame e altri volatili il virus può trasmettersi all’uomo quest’ultimo poi non lo trasmette quasi mai ad altri esseri umani. Dovesse mai uno dei virus influenzali aviari acquisire la proprietà di rendersi trasmissibile a livello interumano sarebbe effettivamente un disastro; la mortalità fin qui descritta nei pochi casi umani che l’hanno acquisita pare possa arrivare al 50%. E la situazione è tutt’altro che statica, visto che negli ultimi anni il virus H5N1 è riuscito ad infettare anche i bovini, ovvero ha acquisito una nuova proprietà del tutto recentemente”.
L’aviaria comunque – che molto allarme ha generato in Usa tra casi umani e la dichiarazione dello Stato di emergenza in California – viene costantemente monitorata: “Non c’è nessuna sottovalutazione da parte dei tecnici del potenziale dell’influenza aviaria, che è strettamente monitorata in Italia e negli altri Paesi attraverso le istituzioni competenti. Al momento – spiega Patrizio Pezzotti, direttore del Reparto di Epidemiologia, modelli matematici e biostatistica del dipartimento Malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità- la situazione in Italia sembra essere molto diversa da quella in Usa, non ci sono segnalazioni di casi nei bovini e neppure di casi umani, ma comunque la rete di sorveglianza è attiva e pronta a rilevare eventuali segnali di allarme”.
I 26 patogeni con potenziale pandemico – Pezzotti ricorda come esista una lista una lista di patogeni redatta dall’OMS tra quelli noti, che per le loro caratteristiche “hanno un potenziale pandemico e questi appartengono principalmente alla famiglia dei virus tra cui WHO (Osm, ndr) identifica 26 gruppi. Dal mio punto di vista quelli più pericolosi sono quelli con sintomi respiratori e con capacità infettiva in assenza di sintomatologia o anche con una sintomatologia lieve. La recente esperienza di SARS-CoV-2/COVID-19 ha messo in evidenza quanto la ‘trasmissione pre-sintomatica’ abbia giocato un ruolo fondamentale per sostenere la trasmissibilità”
Una esperienza recente e drammatica: la “tempesta perfetta – secondo Di Perri – Bassa mortalità ma grandissima trasmissibilità, motivo per cui ad onta di una percentuale di mortalità che certamente non era superiore all’1% (parlo delle prime varianti, le più virulente, per l’Omicron e successive varianti la mortalità attribuibile al virus e non alle condizioni concomitanti è infinitesimale) il numero enorme di persone infettate ha comunque determinato un numero di morti molto elevato”. Per questo l’infettivologo individua un possibile pericolo futuro in “un nuovo coronavirus. Altri virus si renderanno protagonisti di focolai anche importanti di infezione, con mortalità magari elevata, ma destinati generalmente (e.g. Hantaan virus, febbri emorragiche quali Marburg, Ebola, Crimean-Congo, ecc) ad un rapido confinamento geografico in virtù di una virulenza elevata ma di una trasmissibilità ridotta rispetto al COVID-19”.
Il cambiamento climatico –Una preoccupazione costante per gli scienziati che si trovano ogni giorni, dopo anni di studi e ricerche, è il cambiamento climatico che sta incidendo non solo sul clima. “Ci sono molti fattori che portano alla proliferazione delle malattie infettive quali il sovraffollamento globale, l’aumento continuo di spostamenti di merci, di esseri viventi (anche vegetali) e di umani. Il cambiamento climatico può favorire condizioni particolarmente positive per la proliferazione di vettori, come ad esempio le diverse specie di zanzare, in aree dove prima non c’erano. Dal punto di vista istituzionale l’attenzione a questi fenomeni c’è da molto tempo; il COVID ha certamente creato un’attenzione mediatica e di conseguenza politica.
“Il cambiamento climatico e le possibilità di oggi di trasferire persone e infezioni in poche ore da un emisfero all’altro hanno certamente fatto circolare virus come il Dengue, il West Nile, il Chikungunya in molti paesi a clima temperato ove mai erano stati presenti – sottolinea Di Perri – In questo caso gioca un ruolo importante la presenza anche ai nostri climi di zanzare vettrici in grado (generalmente dalla tarda primavera all’autunno) di pungere un viaggiatore infetto proveniente da aree endemiche e di trasferire dopo qualche giorno la stessa infezione ad indigeni nostrani che mai si erano mossi da casa. Ma il fattore principale in questo senso è rappresentato dal numero di abitanti odierni del nostro pianeta. Quando nacqui, ahimè 66 anni fa, eravamo meno di 4 miliardi di persone, oggi siamo più di 9 miliardi di abitanti terrestri. Per vivere ci siamo espansi in territori un tempo disabitati, con sovvertimento dell’habitat naturale di molte specie (e.g. disboscamento) e abbiamo creato condizioni di contiguità che hanno permesso e continuano a permettere lo scambio genetico fra specie virali umane ed animali. E credo che la storia purtroppo non sia finita qui.
Dopo il Covid saremmo pronti a una nuova pandemia? “Un errore che oggi non si ripeterebbe è senz’altro quello della ridottissima disponibilità di mascherine filtranti (FFP2) all’inizio della pandemia da COVID-19. Per il resto hanno tutti fatto le stesse cose in termini di provvedimenti di confinamento e distanziamento, e credo che si procederebbe come allora, magari accorciando i tempi di reazione. Il fatto che in pochi mesi si siano allestiti vaccini e farmaci efficaci – spiega Di Perri – ci fa credere che potremmo allo stesso modo opporre quella superlativa reazione scientifica che indubbiamente c’è stata. Nella ricerca fruttuosa che portò a questi straordinari risultati in poco tempo vennero cimentate le migliori menti del settore, e forse, la prossima volta, sarebbe il caso che lo stesso discrimine qualitativo di competenze e capacità venisse impiegato dai politici anche sul territorio analitico e decisionale”. C’è però anche un fattore umano da considerazione secondo Pezzotti: “Le istituzioni continuano a lavorare, come già facevano prima della pandemia COVID, a sviluppare strategie per la prevenzione, per la gestione di emergenze infettive e allo sviluppo di piattaforme tecnologiche per la rapida preparazione di vaccini e/o farmaci. La domanda sostanziale è: l’essere umano è pronto o vuole solo dimenticare?”
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